Matrix

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Quando vidi per la prima volta il film matrix, fui ben lungi dal comprenderne il significato recondito che volesse veicolare. Lo scambiai per un film di fantascienza e nient’altro.
In un mondo futuristico, le macchine avevano fatto prigionieri gli uomini, che, inseriti in dei baccelli, venivano nutriti e depauperati della loro energia vitale, destinata ad alimentare le macchine stesse.
Per dare, agli esseri umani, l’illusione di avere una vita, le macchine iniettavano nel cervello degli umani del codice e tramite opportuni elettrodi erano connessi ad un mondo virtuale, finto, artificiale: il cervello percepiva degli stimoli elettrici generati dai computers, in cui era stata programmata una realtà, che come nel mito della caverna di Platone, era solo un’ombra di quella vera.
Bè, adesso non voglio dire che siamo prigionieri in dei baccelli ma, riflettendoci bene, la nostra vita, che fino a circa sessantasette, è ingabbiata nel mondo del lavoro, non è molto dissimile dalla visione proposta nel film. A questo punto è d’uopo una domanda :”Chi sono le macchine?”